carciofi alla giudia

Cucina romana, non solo tradizione

Non è un caso che quando si parla dell’Italia si faccia immediatamente riferimento alla nostra gastronomia: considerata quasi impareggiabile, la cucina mediterranea, per quanto vari da regione a regione, propone piatti caratterizzati dalla grande varietà e dalla freschezza degli ingredienti utilizzati per prepararli.

A seconda che ci si trovi nell’interno dello Stivale o sulle coste, i menu tradizionali vengono modificati dall’uso di carne o di pesce, ma ovunque il consumo di carboidrati più o meno raffinati, di legumi e di frutta e verdura garantisce un apporto completo di nutrienti.

Nel corso delle diverse dominazioni che si sono avvicendate nei secoli l’alimentazione nostrana è stata trasformata, cambiando a seconda delle influenze straniere che si sono avvicendate nelle nostre regioni: basti pensare a quanto la dominazione araba abbia influenzato la cucina delle regioni meridionali, in particolare quella della Sicilia.

Nonostante tutto, però, la cosiddetta dieta mediterranea è rimasta a grandi linee ugualmente sana e genuina.

Sicuramente ha giocato un grandissimo ruolo il fatto che l’italiano, in linea di massima, è una buona forchetta, e proprio l’amore per la buona cucina permette la creatività e l’inventiva che i cuochi italiani hanno sempre messo nelle loro ricette.

E, a proposito di creatività, uno degli esempi più lampanti è proprio quello della cucina tipica capitolina.

La cucina romana è in realtà una cucina povera: tutte le ricette, infatti, sono costruite su ingredienti di bassissimo costo, che danno però vita a sapori che si cerca di imitare in tutto il mondo: tutti i piatti della cucina tradizionale della capitale si basano su alimenti di origine contadina e rurale, tra carne degli animali allevati già da secoli e prodotti di una terra indubbiamente ricca e molto fertile.

Proprio alla terra è dovuta la caratteristica di cucina sana che contraddistingue la gastronomia capitolina: il burro, nelle ricette della tradizione romana, non viene quasi mai menzionato, e l’unico grasso, ricco di omega tre e di grassi “buoni” e anticolesterolo, utilizzato nei piatti tipici è l’olio extravergine di oliva.

Inoltre, non va sottovalutato il tratto di Roma come snodo commerciale, che ha avuto quindi la possibilità di arricchire di ingredienti nuovi la propria cucina e di appropriarsi dei prodotti delle regioni limitrofe grazie al fitto commercio che l’ha sempre animata.

La cucina capitolina ruota tutta intorno al cosiddetto quinto quarto: si tratta di quello che resta dell’animale macellato, che viene solitamente diviso in quarti.

Quello che rimane è composto di cervello, milza, fegato, reni, trippa e rognoni, tutte parti che vengono di solito scartate.

Nella cucina romana, invece, sono proprio le cosiddette frattaglie a diventare protagoniste in portate gustose che la tradizione capitolina conserva tuttora.

Trattandosi di una città estremamente turistica, non è più molto semplice assaporare la cucina tradizionale di una volta: sono infatti pochi i ristoranti che servono piatti originali senza rivisitarli per renderli più appetibili ai palati stranieri.

A parte qualche osteria e trattoria a Trastevere ma anche nei quartieri meno noti della città, la massima concentrazione di locali che servono ancora ottimi piatti scelti della gastronomia tipica capitolina è nel ghetto: la cucina tradizionale ebraica, infatti, si fonde con quella capitolina, ed è quella che è tuttora più facile da reperire.

I ristoranti kosher, infatti, hanno mantenuto invariate negli anni le principali ricette, come i carciofi alla giudia o il fritto alla pecorara, con tutte le frattaglie fritte nella pastella insieme alle costatine d’abbacchio panate.

Qui è possibile trovare camerieri in divisa e locali barocchi con soffitti altissimi fanno da contorno ad un menu che è rimasto quello dei papi: il fritto romano, tra carciofi, fiore di zucca con mozzarella e filetto di alice, arancino con cuore di piselli e champignon, fino ai tipici primi, con gli spaghetti alla carbonara, rigatoni all’amatriciana o gli immancabili maccheroni cacio e pepe.

Anche i secondi sono quelli tradizionali della capitale, dall’abbacchio a scottadito ai saltimbocca alla romana.

Per dolce, una squisita e casalinga torta di visciole, che sembra veramente uscita da uno dei forni delle nonne della città eterna, il tutto ad un prezzo, tutto sommato, abbordabile, se si pensa all’eleganza della location e alla ricchezza del tovagliato.

Ma, se non si vuole andare a cercare un ristorante e si decide di cimentarsi nella cucina tipica romana nell’intimità della propria cucina, consigliamo una ricetta da provare subito, di sicuro effetto “casareccio”, che vede come protagonista la regina del quinto quarto, ovvero la coda del manzo.

Ecco come preparare una ottima coda alla vaccinara.

Ingredienti (per quattro persone):
1 chilogrammo di coda di bue o di vitello
1 carota
prezzemolo tritato q.b.
1 gambo di sedano
3 cucchiai di olio extravergine d’oliva
1 chilogrammo di pomodori pelati sgocciolati
100 grammi di lardo, o guanciale oppure pancetta stesa
sale q.b.
2 spicchi d’aglio
1 cipolla rossa
vino bianco da cucina
1 cucchiaino raso di cacao amaro in polvere
20 grammi pinoli
30 grammi di uvetta

Preparazione:

Tagliare la coda con un grosso coltello senza disossarla e senza spezzare l’osso, creando quelli che vengono volgarmente definiti rocchi.

Trattandosi di una fase delicata, e visto che l’osso, essendo la parte finale dello scheletro, tende a spezzettarsi, l’ideale è far effettuare il taglio direttamente al macellaio.

Una volta tagliati, i rocchi vanno lasciati un po’ in ammollo cambiando spesso l’acqua, quindi, una volta puliti completamente dal sangue, vanno asciugati con un canovaccio da cucina.

Mentre i rocchi sono in ammollo, tritare lardo o pancetta, carota, sendano e prezzemolo, mettendo tutto in ciotole separate a parte.

Quindi mettere a soffriggere olio e pancetta in una pentola abbastanza grande da permettere di rosolare contemporaneamente tutti i rocchi.

Una volta che la pancetta sarà croccante, unire la coda e farla rosolare fino a che non raggiunge un colore dorato. Quindi aggiungere il trito di verdure e un pugno del prezzemolo tritato in precedenza.

Lasciar cuocere a fuoco molto basso fino a che non sarà tutto imbiondito, salare, aggiungere qualche grano di pepe nero macinato, e far sfumare poco meno di mezzo litro di vino bianco.

Coprire e lasciar cuocere per circa mezzora a fuoco molto lento.

Mentre il vino sfuma, sgocciolare e tagliare a dadini i pelati, quindi aggiungerli alla coda nella pentola e mescolare per evitare che il tutto si attacchi.

Se nel corso della cottura la coda si asciuga troppo, aggiungere ogni tanto poche dita di acqua.

Intanto sbollentare per circa due minuti in una pentola a parte le coste di sedano, privato dei filamenti e tritato.

Va ammorbidita a parte anche l’uvetta, che va poi strizzata con cura prima di unirla alla pentola in cui cuoce la coda.

I rocchi saranno cotti quanto la carne si staccherà con facilità dall’osso. A questo punto si potrà spegnere il fuoco ma, immediatamente prima di farlo, prendere un mestolo di sugo, metterlo in una terrina e aggiungervi il cucchiaino raso di cacao amaro, sciogliendolo con cura.

Quindi unire alla pentola sedano, uvetta, pinoli ed il sugo nel quale è stato sciolto il cacao.

Far cuocere il tutto per un ulteriore quarto d’ora, quindi impiattare e servire tiepido.

Quello che i non romani non sanno, è che se si sceglie la coda alla vaccinara come secondo, non ci si può esimere dal preparare per primo i rigatoni al sugo di coda: con il sugo della pentola, quindi, condire la pasta, meglio se corta e scanalata.

Buon, romanissimo, appetito!