La cucina Romana: com’è cambiata negli anni?

La cucina Romana: com’è cambiata negli anni?

La cucina romana si può differenziare in due periodi cruciali.

In effetti quello che non è cambiato è che rispetta le antiche tradizioni, non quelle dei signorotti ma quelle popolane e semplici.

Il primo filone che bisogna necessariamente ricordare è quello della Roma dei re che è di memoria antichissima perchè va dal 750 a.C. al 27 d.C..

Il secondo filone da annoverare è quello che risale alla caduta dell’impero romano ossia fino al 395 a.C.

In un determinato periodo della storia e precisamente nel IV e nel V secolo a.C. si dava molto spazio al pane ma spostandosi nella Roma della Repubblica, il modo di alimentarsi cambiava di molto infatti si notano abitudini culinarie più assomiglianti all’era attuale e quindi una prima colazione a base di pane più raffinato e vino, formaggi vari specialmente caprini e tanta tanta frutta.

Il pranzo e la cena erano rigorosamente composti da cibi caldi e nutrienti.

La colazione veniva definita ientaculum mentre il pranzo e la cena, prandium e coena cioè termini che si avvicinano molto a quelli dei nostri giorni.

La tavola era imbandita in modo regale quando si trattava di famiglie ricche e le donne erano ammesse ai pranzi solo in determinate occasioni mentre i ragazzini potevano pranzare sugli scannetti e gli schiavi ai piedi dei loro padroni mentre potevano sedersi alla loro tavola, solo nel caso in cui li avessero portati a pranzo, andandoli a riprendere nel posto in cui si erano addormentanti in stato di ubriachezza.

In epoca imperiale le tavole dei signorotti erano perennemente imbandite di carni speciali come quella dei fenicotteri, delle gru, di alcune varietà di pappagalli e dei pavoni al contrario invece, la carne bovina era considerata di qualità scadente e roba da plebei.

Tutto era condito con salsette ricche e raffinate mentre si usava mangiare in abbondanza verdure come lattuga, cipolle. carote, zucchine e bietole.

Un importante salsetta per condire alcune pietanze era il garum che si otteneva macerando avanzi di pesce con sale e vino.

Tutte queste pietanze venivano abbondantemente innaffiate da circa 200 varietà di vini provenienti da ben ottanta vitigni di gran pregio.

Nelle cucine romane di quell’epoca, si amava rendere in poltiglia e sminuzzare le carni degli animali sopra citati per realizzare polpette o altre particolari preparazioni.

In quell’epoca comunque Gavio Apicio (ideatore di un famoso ricettario) descrisse la cucina romana come un’arte prestigiosa e raffinata con alimenti agro-dolci di gran gusto e classe.

Ma questo naturalmente avveniva soltanto nelle sale da pranzo dei nobili perchè in linea di massima, la cucina romana ha conservato le tradizioni della cucina del quartiere di testaccio cioè del quinto quarto, di quella castellana e di quella del Ghetto che comprendevano piatti umili e poveri ma dal gusto saporito ed indescrivibile come ad esempio pietanze preparate con le frattaglie e gli scarti della macellazione perchè nel quartiere Testaccio sorgeva un famoso mattatoio e a fine settimana, gli operai venivano pagati con una somma di denaro e con una certa quantità di scarti di macellazione che altrimenti i macellai avrebbero dovuto gettar via.
carciofi giudia
La cucina romana attuale è rimasta quella del tradizionale quinto quarto.

L’arte culinaria romana è variata di pochissimo e si basa ancora secondo i principi del quinto quarto segno che i romani hanno preferito seguire quei particolari canoni di pietanze semplici ma buone che sono state tramandate da mamma in figlia.

Non è raro trovare sulle loro tavole quei piatti che allora venivano considerati plebei come la coda alla vaccinara, lo stufatino con carote e sedano, i carciofi alla giudia, i fiori di zucca farciti con filetti di alici e mozzarella e dulcis in fundo, la famosa torta di ricotta condita con cannella, rhum, scorzette d’arancia e frutta candita.

Da annoverare assolutamente è l’abbacchio che non manca mai a Pasqua sulla tavola delle famiglie romane attuali.

Il termine abbacchio è usato solo a Roma ma si trattava di un agnellino dell’età massima di venti giorni mentre oggi questa denominazione è diventata più elastica e con il termine abbacchio si comprendono anche agnelli di età superiore.

Oggi come allora, l’abbacchio viene presentato in varie ricette come l’agnello brodettato che viene cotto con l’utilizzo di molte erbette aromatiche, col prosciutto crudo e viene arricchito con una sorta di salsetta preparata con i tuorli d’uovo, il succo di limone, la maggiorana e tanto prezzemolo.

Ma nella tradizione della cucina romana sono rimasti anche piatti saporitissimi come i bucatini all’amatriciana preparati con guanciale, olio d’oliva e pomodorini freschi.

La gastronomia romana è quindi rimasta attaccata a tradizioni molto persistenti e grazie alla multi etnicità della Roma antica, la cucina romana ha conservato i sapori dell’arte culinaria popolare e contadina.